Nella seconda decade di settembre (tra il 10 e il 20 circa) vorrei tornare con l’auto in una zona della Grecia che amo molto perché rappresenta, secondo me, il suo più autentico spirito, al di là degli stereotipi sul Partenone, Olimpia, ecc., dai quali, purtroppo, loro sono lontani quanto noi. Parlo della penisola di Mani, altrimenti detta Maina, che corona l’estremo sud del Peloponneso, insieme alle altre due famose penisole della Messenia e della Laconia. Terra fiera, fin da quando era popolata dagli Spartani, fatta di villaggi bizantini medievali fortificati, selvagge scogliere, baie incontaminate. I suoi abitanti discendono da clan di guerrieri-pastori che in 2000 anni non si sono mai sottomessi a nessuna dominazione, né ai romani, né ai germani o ai bizantini, né tanto meno ai turchi o agli invasori nazisti dell’ultima guerra (e nemmeno tanto ai governi greci succedutisi dall’indipendenza ad oggi). Nel corso del mio precedente viaggio ebbi incontri molto interessanti. Per comprendere lo spirito di questa terra, e, grazie ad esso, di gran parte della Grecia, bisogna leggere il libro Mani, di Patrick Leigh Fermor, pubblicato pochi anni fa da Adelphi. Fermor è un tipico esempio dell’inglese nobile, colto e coraggioso, innamorato delle terre del sud. Grande viaggiatore e insieme scrittore finissimo, nel 1944, come ufficiale inglese, lavorò dietro le linee tedesche con la resistenza greca e fu il protagonista del rapimento del comandante nazista della guarnigione di Creta. E’ ancora vivo (credo) e abita proprio lì nel Mani. Il suo libro fu la mia guida durante l’ultimo viaggio nel Peloponneso e lo sarà anche questa volta, insieme a chi vorrà venire con me.
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